Perché la musica popolare?
Come arricchirsi (artisticamente parlando) con la musica popolare
di Fabia Salvucci
Ultimamente la musica popolare sta tornando alla ribalta. Nei locali, nei teatri, nuovi festival: è sempre più presente. Non è più un retaggio di appassionati del folclore o docenti di etnomusicologia, ma anche i ragazzi, in numero sempre maggiore, si avvicinano a questo mondo: per curiosità, perché catturati dai ritmi vivaci o per approfondimento
Ma che motivo può avere un aspirante professionista della musica di avvicinarsi a un genere che sembrerebbe così lontano dalla contemporaneità?
Le ragioni a dire il vero possono essere molte e non si tratta solo di “dovere” culturale per mantenere viva la tradizione, ma di una vera crescita della propria musicalità.

Per capire come cantare la musica popolare e cosa si acquisisce cantandola è necessario definire il cerchio di questo genere che sembra abbracciare infinite cose. La musica popolare è la musica del popolo, ma un popolo è formato da più classi sociali e quindi da più storie e punti di vista.
La prima distinzione facile è tra la musica colta, la musica commerciale e quella popolare. Le prime due hanno un compositore, un autore, la seconda invece non né ha, appartiene al sapere di tutti da tempo immemore. Per questo nella maggior parte dei casi non ha un riferimento scritto, uno spartito, se lo ha è stato fatto a posteriori da etnomusicologi che hanno trascritto materiale che era perlopiù tramandato oralmente. Quest’ultimo è un dato importante, perché la rende accogliente, variabile in base alla memoria sensibile di ognuno, per non parlare dell’inclinazione alla contaminazione originata dall’incrocio di più popoli.
Spesso è legata alla ritualità di un popolo. Scandiva il ritmo della vita di un uomo: le fasi del lavoro, il ritrovo delle feste profane, il ciclo degli appuntamenti religiosi, una compagna invisibile ma sempre presente.
Essendo spesso quindi funzionale la musica popolare è strettamente legata all’esigenza di comunicazione immediata. Non una canzone pensata per essere formalmente bella, di intrattenimento, ma il frutto diretto di una forte necessità. Un interprete, un cantante, ha quindi molto da poter rubare da questo genere che consente di diventare molto efficaci nell’espressività.
Vocalmente è un genere impegnativo; quando si ha fortemente qualcosa da dire spesso lo si fa a tutto volume, ma i nostri antenati erano ben allenati. Pur non conoscendo la tecnica vocale così come la conosciamo noi oggi, sapevano ben sfruttare i risuonatori facciali, il respiro profondo. Si pensi per esempio ai canti sardi, gli armonici e il corpo del suono che si fa forte delle risonanze nasali, degli zigomi e della cosiddetta maschera. Anche se possiamo non amare esteticamente la qualità del suono della vocalità popolare di sicuro possiamo apprendere in parte la potenza e, inoltre, la libertà di espressione: le voci popolari infatti spesso escono al di fuori del sistema temperato!
La musica popolare spesso non prevede un solista, ma un coro. Un’altra delle sue funzioni infatti era di collante sociale tra gruppi diversi. La musica popolare ha un forte potere aggregante.
Il valore umano e culturale di questo genere è poi impagabile. Capire da dove veniamo, chi eravamo, è una bussola importante per sapere dove si vuole andare…o anche semplicemente dove non si vuole andare.
Fabia Salvucci si diploma nel 2016 a Percentomusica al Corso di Formazione Professionale Multistilistico per Cantanti. Durante il corso conosce la collega Sara Marini con la quale avvia il progetto artistico Djelem do Mar e molte attività didattiche e concertistiche legate alla musica popolare.
In copertina Fabia Salvucci vista da Adriano Natale di Capture Studio Roma
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